Alessandro Gualtieri
Influenza “Spagnola” e Covid-19
A distanza di cent’anni, ancora nessuno sa quando l'influenza Spagnola ha guadagnato slancio, né in che momento il suo agente patogeno è stato in grado di attaccare la popolazione mondiale.
Alcuni gravi casi di influenza erano stati osservati a Strasburgo e Lipsia già nel 1914, nonchè tra le truppe al confine polacco un anno dopo. A dicembre dello stesso anno colpì la cittadina di Konigsberg (oggi Kaliningrad, in Russia) e poche settimane dopo raggiunse le Fiandre, nel Belgio occidentale.
Nell'inverno del 1916/17, anche a Vienna, diversi civili e militari a Vienna si ammalarono improvvisamente. Si diceva poi che i marinai spagnoli avessero portato l’influenza dall’Europa al Rio de la Plata in Argentina.
Nell’ottobre del 1917, si verificarono gravi patologie respiratorie tra le forze di spedizione statunitensi nella Francia occidentale, nonché a Fort Riley, in Kansas, e in altre istallazioni militari negli Stati Uniti. Si trattava, tuttavia, di casistiche isolate e dunque poco considerate, soprattutto a livello mondiale.
Alcuni studiosi hanno molto insistito sul fatto che l’influenza provenisse dalla Cina, dove se ne osservavano focolai quasi ogni anno.
Per altri la malattia sarebbe giunta dalla Francia occidentale, mentre si insinuavano anche dubbi sugli Stati Uniti d’America. L’impero austro-ungarico era sospettato a sua volta, ma da Vienna si puntava il dito contro la Russia, già più volte “colpevole” di analoghi focolai infettivi. Quest’ultima nazione, nel 1917, aveva ben altro da fare che contare le vittime dell’influenza: in piena rivoluzione ed impegno bellico internazionale, rimane a tutt’oggi una riga vuoto nelle statistiche globali di quella tragica pandemia.
Al fine di smorzare sul nascere eventuali teorie cospiratorie, vale la pena ricordarci che, nel 1921 e dopo la risoluzione della pandemia,
lo scienziato statunitense Warren T. Vaughan[1] si occupò di redigere uno studio epidemiologico in cui affermava:
“Nel discutere la diffusione della pandemia del 1918 sulla terra, l'autore l'ha rintracciata da un'origine apparente negli Stati Uniti, in Francia
e in Cina. Dalla letteratura a sua disposizione non è stato in grado di trovare prove convincenti di un'origine precedente in Asia ... "
Preludio nel cuore della Cina
Negli ultimi mesi del 1917, una malattia respiratoria altamente contagiosa si diffuse attraverso la Cina settentrionale, senza che le autorità competenti identificassero esattamente il carattere stesso dell’epidemia. Le persone svilupparono gravi polmoniti dopo pochi giorni di incubazione.
I diplomatici occidentali coniarono il termine “peste polmonare”, ma i funzionari cinesi li smentirono e negarono categoricamente.
I medici europei adottarono misure di quarantena, ma la malattia continuò diffondersi e ben presto apparve nelle province nord-orientali della Russia. Come sappiamo, l’epidemia si protrasse fino alla primavera del 1918, per poi svanire apparentemente.
A quei tempi la Cina era debole e instabile, nonchè ufficialmente in guerra con le Potenze centrali. Sebbene non fosse coinvolta in operazioni di combattimento, supportava le truppe britanniche con una forza lavoro a contratto, pronta a insediarsi nelle linee alleate della Grande Guerra in Europa. Molti operai, tecnici e uomini di fatica cinesi furono ammassati in piccoli centri di smistamento, in attesa di partire - condizioni ideali per la diffusione delle malattie infettive.
Circa 140.000 cinesi, molti dei quali provenienti dalle aree della Cina centro-settentrionale colpite dall’epidemia, raggiunsero l’Europa passando per Singapore, Città del Capo, il Canale di Suez, il Mediterraneo e persino il Canada, l’America e l’Inghilterra.
All’epoca il trasporto aereo ancora non esisteva, ma si evince chiaramente che treni e navi – già a disposizione capillarmente e in grandi quantità – si limitarono solo a rallentare di qualche settimana la diffusione del virus influenzale. I soggetti infetti la fecero, inconsapevolmente, in barba a qualsiasi misura di quarantena.
La possibilità che la malattia abbia avuto origine in Cina fu sollevata, già nel 1922, dal batteriologo tedesco-americano Hans Zinsser: egli documentò una curiosa e lieve malattia febbrile, ai danni delle maestranze cinesi sulle coste della Francia, già all’inizio del 1918.
Lo scenario qui delineato è in linea con l’idea generalmente accettata che, un secolo fa, l’Asia centrale fosse una specie di epicentro per
i focolai di influenza pandemica. Del resto, molti soldati e civili europei iniziarono ad ammalarsi e a morire, solo alcune settimane dopo l’ingente afflusso di manodopera cinese in Europa occidentale. Ancora una volta, serve ricordare un’altra affermazione di Warren T. Vaughan:
“La peste è apparsa nel nord della Cina nel 1917, originando apparentemente nella Mongolia interna. La diffusione si estese su una vasta area e si dice che questa epidemia di peste polmonare sia stata più estesa di qualsiasi altra, a partire da quella del 1910-11. La diagnosi è stata confermata batteriologicamente: una vera pestilenza e non semplicemente una malattia influenzale.”
I documenti ufficiali a nostra disposizione non parlano di maestranze cinesi di passaggio nel Kansas, eppure esiste anche una tesi diametralmente opposta a quella appena analizzata: basta trasporre le condizioni specifiche dell’Asia orientale all’America rurale, dove gli agricoltori vivevano anche in stretto contatto con animali domestici e da allevamento.
Il suggerimento che l’influenza Spagnola abbia avuto inizio in Kansas, ha infatti trovato un altrettanto ampia accettazione. Il 30 marzo 1918,
a Haskell, Kansas, furono registrati 18 casi di influenza grave che causarono 3 morti. Il 4 marzo dello stesso anno, Albert Gitchell, un cuoco dell’esercito statunitense, si ammalò di mal di gola e mal di testa con una temperatura corporea di 40 ° C. Ben presto, altre reclute marcarono visita, finché in centinaia si ritrovarono ricoverati nello stesso ospedale militare da campo. In tutti i casi, i medici diagnosticarono la polmonite – decide di giovani uomini persero la vita e, ben presto, ci furono altri focolai trai militari del Tennessee e della Georgia.
Questi episodi di polmonite segnarono ufficialmente l’inizio di un’epidemia sempre più ampia, seguita da ulteriori focolai in aprile e maggio.
Le principali città lungo la costa atlantica registrarono visto un netto aumento dei decessi per influenza e polmonite all’inizio del 1918 -
in particolare a New York. Poi fu la volta di Chicago, e degli stati centrali e occidentali ad aprile e maggio. Ci fu anche un focolaio d’infezione nel carcere di San Quentin, in California.
L’ipotesi, altrettanto popolare, delle origini americane dell’influenza Spagnola è documentata su centinaia di scaffali in giro per il mondo, ma non è coerente con le statistiche militari locali: un notevole aumento dei tassi di mortalità per malattie respiratorie, casi di influenza, bronchite e polmonite negli Stati Uniti, fu registrato tra i soldati già nel dicembre del 1917.
Nonostante la mancanza di certezza epidemiologica, l’assunto che l’influenza Spagnola abbia avuto inizio in America si è addirittura fatto strada negli scritti accademici.
Ma c’è, infine, una terza tesi che si sta facendo strada, sulla scorta di ulteriori studi e documenti riservatissimi, finalmente resi pubblici solo di recente. Tralasciando le sostanze aggressive create in laboratorio, la natura stessa offre una vastissima gamma di tossine, virus e batteri che, spesso con modestissime manipolazioni, possono esser trasformate in pericolosi e subdoli strumenti di offesa. Prendiamo l’antrace o il botulino, ad esempio, già presenti sul nostro pianeta da secoli e recentemente “riscoperti” quali strumenti di terrore e distruzione di massa.
Numerose prove dimostrano che anche gli scienziati del Kaiser Guglielmo II abbiano sviluppato un ambizioso programma di guerra batteriologica, sin dal 1914.
Nel 1915 il Dottor Anton Dilger[2], oriundo tedesco, fu accusato di aver coltivato a Washington D.C., il bacillo dell’Antrace e del Cimurro: patogeni forniti dal governo del suo stesso Paese d’origine.
I bacilli sarebbero stati inoculati in migliaia di capi di bestiame (cavalli, muli e bovini) destinati al fronte di guerra alleato, in Europa. Uccidendo proattivamente i mezzi di trasporto più utilizzati dallo sforzo bellico alleato, la Germania sperò – invano – di comprometterlo pesantemente; tuttavia, non solo non ci riuscì, ma ben presto i soldati di tutti gli schieramenti caddero analogamente vittime di questa letale arma biologica. Per ironia della sorte, Anton Dilger morì subito dopo la fine della Grande Guerra, vittima della pandemia di Influenza Spagnola.
Il Protocollo di Ginevra, che nel 1925 vietò l’impiego degli aggressivi chimici, si dimenticò di bandire lo studio e la produzione di armi biologiche, in quanto ancora sconosciute o comunque non meglio identificabili.
Non esistono comprovati collegamenti tra un virus sviluppato dall’uomo, inoculato ad un animale e quindi naturalmente trasmesso ai soldati del 1918; tuttavia, è lecito iscrivere nel registro degli “imputati” anche questa pericolosa promiscuità tra agenti patogeni ed esseri umani. Sappiamo bene, del resto, che un patogeno di questo tipo può mutare e trovare nuove “prede”.
Diverse ondate infettive
Le molteplici ondate di infezione, che caratterizzano una pandemia di influenza, sono state osservate anche con l’influenza Spagnola. Un’onda precoce, relativamente benigna, attraversò l’Europa e gli Stati Uniti nella primavera e all’inizio dell’estate 1918. Era associata a un tasso di mortalità relativamente basso, sebbene esistessero chiare differenze regionali. La prima ondata di influenza fu dunque così lieve, che alcuni medici pensarono fosse meglio infettarsi al più presto nei mesi caldi e quindi acquisire l’immunità di gregge per il successivo inverno. Una tesi che oggi suona estremamente familiare e già sentita in molte parti del mondo. Proprio in questi giorni di primavera “pandemica”, un epidemiologo svedese di spicco ha dichiarato che la Svezia si troverebbe ormai vicina all’uscita dal tunnel, senza i contraccolpi economici che il Coronavirus sta avendo nel resto del mondo; ciò perché in quella nazione non si è attuata la politica di “lockdown”. Vien da pensare ai “Principi di Scienza Nuova”, dove Giambattista Vico concepiva i suoi celeberrimi “ricorsi storici” come un’inevitabile successione e un ripetersi di tutte le forme della cultura umana e sociale. Ciò che si presenta di nuovo nella storia è solo paragonabile per analogia a ciò che si è già manifestato.
Nell’autunno del 1918, si verificò, dunque, una seconda ondata associata a tassi di mortalità insolitamente alti: già in novembre, tuttavia, perse slancio in tutta Europa. A Natale, il peggio sembrava passato, eppure l’epidemia continuava a girare.
Molte zone del pianeta furono colpite da una terza ondata, associata ad analoghi alti tassi di mortalità – ciò si verificò a partire dalle fine dell’anno e specialmente a gennaio e febbraio del 1919. Nel 1920 infine, si assistette ad una quarta ondata, estremamente virulenta.
Nei periodi intermedi di “calma apparente”, si registrarono alcuni casi isolati di diversa intensità: alcuni di essi, a volte, si tramutarono
in epidemie regionali o locali di minore entità, che oggi potremmo equiparare alle nostre “zone rosse”.
E’ però importante notare che le prime tre ondate di pandemia, nel 1918-19, si svilupparono nel giro di un anno: distinguere esattamente
i momenti “caldi” da quelli di relativa perdita di intensità del virus è poco più di un mero esercizio statistico.
La fine della pandemia?
Si dice che l’influenza Spagnola abbia causato, più di tre volte, più morti dei combattimenti sul campo di battaglia e principalmente a causa della polmonite. Ben presto, anche tutti i pazienti civili attesero, invano, il medico a domicilio, mentre negli ospedali militari e nei pronto soccorso da campo si arruolarono migliaia di neolaureati, apprendisti e semplici praticanti. Un’altra triste nota di quella pandemia, che risuona tragicamente attuale. Iniziarono a scarseggiare anche i medicinali – l’Aspirina prima fra tutti. Fiorì allora un mercato nero particolarmente florido, con molti truffatori che spacciavano inutili sostanze per vero acido acetilsalicilico. Una sola compressa di vera o presunta Aspirina, nell’ottobre 1918, arrivò a costare cifre oltraggiosamente esorbitanti. Non risultano analoghe speculazioni sui cosiddetti “dispositivi di protezione individuale”, probabilmente solo perché, a quei tempi, nessun medico prescrisse l’uso obbligatorio delle mascherine chirurgiche. Forse avevano già capito che non sarebbero servite a nulla, contro un virus influenzale così aggressivo.
Il finale della pandemia è misterioso come le sue origini. Dopo l’ultima ondata del 1920, l’influenza Spagnola lasciò il posto a normali epidemie stagionali, ma continuò a contribuire ad alti tassi di mortalità fino agli anni ‘20, prima di svanire dalle statistiche e dagli ambulatori.
Si stima che un terzo della popolazione mondiale fu colpito dall’infezione durante la pandemia del 1918–1919. La malattia fu eccezionalmente grave, con una letalità maggiore del 2,5% e circa 50 milioni di decessi - alcuni ipotizzano fino a 100 milioni. Negli anni ‘30, furono isolati virus influenzali dai maiali e dagli uomini che, attraverso studi siero-epidemiologici furono messi in relazione con il virus della pandemia del 1918. Si è visto che i discendenti di questo virus circolano ancora oggi nei maiali. Forse hanno continuato a circolare anche tra gli esseri umani, causando epidemie stagionali fino agli anni ’50, quando si fece strada il nuovo ceppo pandemico H2N2 che diede luogo all’Asiatica del 1957.
I virus imparentati a quello del 1918 non diedero più segnali di sé fino al 1977, quando il virus del sottotipo H1N1 riemerse negli Stati Uniti causando un’epidemia importante nell’uomo.
Dal 1995, furono isolati e sequenziati frammenti di RNA virale del virus della pandemia del 1918, fino ad arrivare a descrivere la completa sequenza genomica di un virus e quella parziale di altri quattro. Il virus del 1918 è probabilmente l’antenato dei ceppi umani e suini H1N1 e H3N2, nonchè del virus H2N2 estinto. Questi dati suggeriscono che il virus del 1918 era interamente nuovo per l’umanità, un po' come sta succedendo per l’attuale Covid-19 o Coronavirus.
In in questi giorni, dominati dalle notizie sulla diffusione del nuovo patogeno, il pensiero corre spesso all’influenza Spagnola, che, come abbiamo visto, nel 1918 causò decine di milioni di morti in tutto il mondo. “L’ombra della Spagnola rimane sempre molto presente nell’immaginario collettivo, ma almeno per il momento le due epidemie sono molto differenti da diversi punti di vista” ha recentemente spiegato l’università di Ginevra[3]. “I due virus sono molto diversi tra loro in comportamenti, modi di trasmissione e pericolosità”.
Altri aspetti sono invece simili: “ad esempio la reazione psicologica da parte della popolazione. Inoltre, entrambi i virus si trasmettono attraverso le vie aeree e provocano soprattutto problemi alla respirazione e ai polmoni”.
Soffermiamoci, prima di concludere, proprio sulla succitata reazione psicologica da parte della popolazione e dei nostri governanti. A qualcuno non piacerà la conclusione che se ne può trarre: cent’anni fa, anche se non esistevano i ritrovati medico-scientifici di cui si dispone oggi,
lo “tsunami” patogeno di origine incerta travolse l’umanità. Esso servì, cinicamente, come uno scalino nel nostro percorso evolutivo, scremando i più deboli e i più fragili. I governi di allora, peraltro già affogati nel sangue della guerra e alle prese con la ricostruzione,
si limitarono a imporre periodi di quarantena, sacrificando migliaia di medici, infermieri, soldati e civili, nel vano – ma poco convinto - tentativo di arginare la marea. Di vaccini, almeno a breve termine, neanche a parlarne. Anche questa non l’abbiamo già sentita?
Al giorno d’oggi è doverosa e devastante la seguente considerazione finale: gli avanzamenti e le scoperte scientifiche dell’umanità non sono ancora in grado di eliminare, per sempre, lo spettro di un agente patogeno che già ci decimò cent’anni fa. E’ un po' come se fossimo ritornati o addirittura rimasti nelle caverne del periodo Paleolitico. Cosa dobbiamo aspettarci allora? Distanziamento sociale, reiterati periodi di
quarantena, scarsezza di farmaci e di presidi medico-chirurgici…, quindi lo stesso identico epilogo del 1920: solo i più forti ce la faranno - in che modo non si sa. Soprattutto se sposiamo ad analoga impreparazione contemporanea, l’odioso e onnipresente scontro politico, che ben poco ha a che fare con la scienza e la salute dell’umanità intera.
Forse è proprio questa l’unica lezione da imparare, che non arriva dai nostri simili “illuminati”, bensì da Madre Natura.
[1] “Influenza: An Epidemiologic Study”, published in The American Journal of Hygiene, July, 1921
[2] “The Fourth Horseman: The Tragedy of Anton Dilger and the Birth of Biological Terrorism”, di Robert Koenig, 2006.
[3] Bernardo Fantini, storico della medicina, 2020
Per ulteriori approfondimenti:
"Grande Guerra e Bioterrorismo"
"Il pipistrello che canta e il Covid-19"
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