Alessandro Gualtieri
Le tattiche militari della Grande Guerra
Quasi sempre la risposta data ai molteplici insuccessi strategici del 1914-1918 addossa ogni colpa ai generali, in quanto, anche come confermato da molti storici contemporanei, all’epoca gli eserciti si reputavano composti da «leoni comandati da asini». Tuttavia, prima di pervenire a un giudizio circa l’effettiva competenza degli alti comandi nel periodo bellico 1914-1918, ci sono molti aspetti da prendere in considerazione. Era stato sostenuto che la guerra si basava su cicli tecnologici. Nel 1914 la tattica difensiva ebbe un temporaneo predominio su quella offensiva; una situazione che si sarebbe invertita tra il 1939 e il 1941. Ciò fu determinato soprattutto dagli sviluppi degli armamenti. II punto di vista anglo-americano della guerra e alterato da un inesatto ricordo del 1° luglio 1916, il primo giorno sulla Somme, quando la 4a armata britannica subì 60.000 perdite in cambio di una piccola conquista. Per questo, si poteva ritenere che le mitragliatrici e l’artiglieria erano da sole la causa tecnologica della situazione senza via di uscita. La verità e abbastanza diversa. Durante la guerra le forze in campo non avevano grossi problemi nell’assalire le posizioni nemiche, usando l’artiglieria e la fanteria. Perfino durante il famoso e atipico 1° luglio 1916, le divisioni inglesi e le vicine formazioni francesi riuscirono a raggiungere tutti i loro obiettivi. La difficoltà non era nell’irrompere nelle trincee nemiche, ma nel proseguire l’azione. Parlando in generale, era più facile per un difensore guidare le truppe di riserva per tamponare la breccia nel fronte che per un attaccante far avanzare le proprie riserve per sostenere le truppe d’assalto, il cui slancio di solito aveva perso impeto, e che spesso avevano subito pesanti perdite.
A dispetto dell’immagine pubblica dei comandanti della prima guerra mondiale, visti come «asini» dotati di scarsa fantasia, tra il 1914 e il 1918 si verificò una concreta rivoluzione della tattica militare. La guerra del 1914 fu di tipo napoleonico, ma quella del 1917-18 ebbe molti elementi in comune con la Blitzkrieg del 1940. Le tattiche di infiltrazione, la guerra chimica, gli attacchi aerei, le azioni combinate di reparti di fanteria e mezzi corazzati, gli sbarramenti d’artiglieria accuratamente preparati: tutto ciò era ormai entrato a far parte della mentalità strategica del 1918. Caso strano, mentre vengono ricordate le nuove armi (come i gas e i carri armati), questo non avviene per le innovazioni tattiche. In altre parole, tutti gli eserciti avevano impiegato tattiche lineari di fanteria nel 1914, ma già nel maggio 1915 un ufficiale francese, il capitano André Laffargue, stava iniziando a pensare all’addestramento di reparti d’assalto, che dovevano aprirsi la strada lanciandosi avanti in piccoli gruppi. Furono i tedeschi a sviluppare questo metodo, per cui le truppe scelte, bene armate, dovevano penetrare nelle posizioni nemiche, oltrepassando gli ostacoli e continuando ad avanzare nelle retrovie per causare il maggior danno possibile, lasciando alla seconda ondata il compito di annientare le sacche di resistenza. Questa tecnica fu adottata a Cambrai e Caporetto nel 1917, e il suo impiego contro gli inglesi sulla Somme nel marzo 1918 spezzò l’equilibrio, conducendo alla ripresa della guerra in campo aperto.
Indipendentemente dai tedeschi, sia i francesi sia gli inglesi avevano abbandonato l’avanzata frontale e adottato tattiche più flessibili basate sull’impiego di piccoli reparti. In modo analogo, le rigide tattiche difensive basate su tre linee di trincee furono sostituite dalla difesa in profondità, in gran parte conseguenza dell’esperienza tedesca sulla Somme nel 1916. Le truppe avanzanti dovevano fronteggiare in primo luogo una serie di avamposti e poi una zona di combattimento composta di capisaldi piazzati in modo da assicurarsi appoggio reciproco, che avrebbero separato le truppe d’assalto, permettendo di fermarle con maggior facilità. Anche le tattiche dell’artiglieria subirono un profondo cambiamento. I semplici tentativi di distruggere le posizioni nemiche con il solo peso dei proiettili furono in parte sostituiti da tiri di sbarramento in grado di spostarsi con l’avanzare delle proprie truppe (quello che gli inglesi chiamavano «Creeping Barrage»).
L’embargo che Inghilterra e Francia imposero alla Germania Guglielmina sin dall’inizio della Grande Guerra, può essere considerato come lo strumento di offesa probabilmente più efficace per far sì che l’esercito del Kaiser venisse inesorabilmente costretto alla capitolazione. In seguito a tale strategia d’assedio operata dall’Intesa, la Germania dovette amministrare con infinita parsimonia le proprie risorse interne, nonché cercare comunque di rifornire lo sforzo bellico dei suoi alleati, analogamente stretti nella morsa dell’embargo.
Quando iniziarono a tuonare quei tragici «cannoni d’agosto», nel 1914, le rotte commerciali tedesche furono immediatamente bloccate dallo sforzo congiunto dei due principali Paesi dell’Intesa. Un proclama reale britannico sancì il diritto incontrastato di impedire alla Germania qualsiasi scambio, commercio o contrabbando di ogni genere di merce, inclusi armi, proiettili, esplosivi equipaggiamenti bellici.
L’iniziale inarrestabile avanzata degli ultimi mesi del 1914 testimoniò perfettamente la supremazia incontrastata della macchina da guerra tedesca – tuttavia le mancava un importantissimo ingranaggio: il controllo e il dominio assoluto dei mari e delle relative rotte commerciali. Su tale lacuna si sviluppò immediatamente l’embargo dell’Intesa, anche se inizialmente la Germania riuscì in parte a mantenere rapporti commerciali con il resto del mondo (soprattutto grazie all’astuto permissivismo britannico, desideroso di far indebitare il nemico oltremodo, gettando le basi per una inevitabile crisi economica e finanziaria interna).
Si calcola che circa il 70% delle risorse tedesche fosse, fino ad allora, di importazione, contro un modesto 50% nelle esportazioni. Nonostante i modesti risultati ottenuti nei primi mesi di embargo, la Germania e i suoi alleati dovettero presto costituire un nuovo tipo di economia centralizzata, di tipo autarchico, per ottimizzare la gestione delle risorse comuni. Molto presto la Germania si rese conto di non avere altra scelta se non quella di contrastare militarmente le soffocanti restrizioni economiche imposte dall’Intesa. Il Kaiser decise di ascoltare i consigli del suo ammiraglio von Tirpitz e di lanciare la propria flotta di sottomarini contro le sentinelle dei mari dell’Intesa. Il 4 febbraio venne dichiarato, per la prima volta nella storia, questo nuovo tipo di guerra navale. Gli inglesi non si fecero tuttavia intimorire e rafforzarono controlli e blocchi navali. Appare sicuramente ironico che con l’impiego dei temuti Untersee-Boat (U-Boat) i tedeschi provocassero direttamente una recrudescenza dello stesso embargo che li avrebbe poi costretti ad una bruciante sconfitta. Con il procedere della guerra la Germania decise comunque di investire ulteriormente nello sviluppo dell’arma sottomarina e ben presto si raggiunsero affondamenti pari a mezzo milione di tonnellate al mese, che fecero rischiare una pericoloso effetto “boomerang” dell’embargo ai danni della stessa Inghilterra.
La drastica riduzione di generi di conforto, di alimenti e di materie prime, esacerbò i già crescenti malumori, scioperi e manifestazioni sempre più violente. Il morale del fronte interno, così come quello dei soldati in prima linea iniziò a denunciare lo stesso comune denominatore della disperazione. La voglia di combattere e di resistere alle infinite e durissime prove di una lunga e devastante guerra, stava decisamente esaurendosi. Sul finire del 1918, i soldati tedeschi arrivarono al punto di augurarsi un attacco di carri armati nemici perchè, come disse lo stesso Capo di Stato Maggiore Enrich von Ludendorff: «dentro ad ogni carro si può sicuramente trovare del cibo». La guerra non finì a colpi di cannone: il popolo tedesco e il suo esercito, entrambi stremati e disperati, abbracciarono di buon grado qualsiasi forma di armistizio che ponesse fine ai loro disagi.
Le truppe d'assalto
Partendo dall’esempio delle «Sturmtruppen» create dai tedeschi (una specie di «super fanteria» particolarmente veloce, agile e munita esclusivamente di strumenti di attacco e di offesa, senza l’impaccio di zaini, pale, picconi e quant’altro sarebbe servito a chi, dopo di loro, si sarebbe dovuto insediare nelle postazioni conquistate), i comandi italiani fin dal 1915 considerarono la creazione di unità d’assalto o di cosiddetti «esploratori».
Il Colonnello Giuseppe Bassi fece dunque realizzare una specifica scuola d’addestramento a Sdricca di Manzano, Udine, dove si inventò un particolare addestramento per i suoi «arditi» fanti. Il primo impiego ufficiale degli Arditi risale alla battaglia della Bainsizza, il 18 e 19 di agosto. L’esito vittorioso catalizzò la nascita di ulteriori reparti, sempre nella 2a armata, e la direttiva ufficiale di costituire gruppi di Arditi in tutte le altre armate.
Come accadde per ogni nuova arma o strategia, anche l’impiego di questa «super fanteria» non fu sempre indovinato. Spesso i reparti degli Arditi vennero impiegati come unità di fanteria in difensiva pur non avendone reali capacità. In seguito al disastro di Caporetto, il nuovo Comando Supremo italiano dettò anche negli Arditi un riordino generale. Si cercò infatti di organizzare meglio le unità, ciascuna con organici, armamento, tecniche di impiego ed uniformi proprie; i reparti vennero quindi rinumerati e riassegnati ai vari Corpi d’Armata. Successivamente assunsero la numerazione del Corpo d’Armata di dipendenza e vennero ordinati in tre compagnie con tre sezioni mitragliatrici, sei sezioni pistole mitragliatrici ed altrettante munite di lanciafiamme. L’armamento individuale, inizialmente composto solo dal pugnale e dalla granata Thevenet, si arricchì del moschetto 91 TS, versione accorciata del fucile modello 91.
L’uniforme rimase la stessa ma, per carenza di materiali, venne introdotta la camicia grigioverde di flanella con cravatta e fez neri. Apparve anche uno zainetto d’ordinanza, un semplice tascapane cioè, che potesse contenere un minimo di cosiddetto sostegno logistico.
Tornati in azione, dal 10 giugno del 1918 ben nove reparti di Arditi vennero destinati alla costituzione della 1a Divisione d’Assalto, seguita quindici giorni dopo dalla 2a Divisione d’Assalto con la quale venne creato un Corpo d’Armata d’Assalto. Verso la fine della guerra le Divisioni d’Assalto vennero anche usate come veri e propri «arieti» per la liberazione di Vittorio Veneto.
Nel più puro spirito anarchico possibile in guerra, gli Arditi vennero spesso incaricati di azioni audaci, prive di una reale utilità militare, ma altisonanti dal punto di vista della propaganda. Da queste formazioni di «nuovi combattenti» si crearono anche squadre per operare nelle retrovie nemiche, raccogliendo informazioni e scompaginando i rifornimenti – quello che oggi potremmo facilmente identificare con Sabotatori e Guastatori.
Gli inglesi ci insegnarono anche a paracadutarci oltre le linee nemiche, per veri e propri scopi di spionaggio; gli Arditi allora si lanciavano con denaro italiano e austriaco d’occupazione e una gabbietta di piccioni per i messaggi. Dietro le linee nemiche cercavano anche di sabotare ponti e ferrovie o addirittura di modificare le segnaletiche stradali, per causare il caos i trasporti nemici! A Gabriele D’annunzio, esteta primo del più puro spirito ardito, dobbiamo anche il più famoso motto di queste truppe speciali: il «Me ne frego» di cui in seguito, per scopi propagandistici, si stravolse e si mercificò l’impiego.
Copyright Alessandro Gualtieri 2010
Per ulteriori approfondimenti: www.lagrandeguerra.net